Come spesso mi accade, ho scoperto tardi la serie rispetto all’uscita ufficiale su Fox Crime. All’inizio non l’avevo presa in considerazione, anzi l’idea non mi era neanche sembrata un granché: Il killer dei serial killer? What’s the like? Ma dopo il primo episodio sono diventata una “Dexter addicted”.
Ogni sera, religiosamente, guardavo una o due puntate, fino a consumare le otto stagioni complete. Ho amato ogni episodio, e quando è giunto il momento di dire addio a Dexter e agli altri personaggi mi sono sentita improvvisamente orfana. “E adesso?”
Dexter è una serie dove lo spettatore sta inevitabilmente dalla parte del “cattivo”. Perché come in tutti i romanzi o i film dove il cattivo è il risultato di un’ingiustizia o un sopruso, non si può non fare il tifo per lui. Da bambino assiste all’omicidio efferato della madre e crescendo scoprirà di sentire strani istinti violenti che dovrà imparare a nascondere e a canalizzare.
Dexter è condannato alla violenza. “Sono nato nel sangue”, dice il personaggio. Ma in realtà, ed è questo il bello, la serie non parla dell’essere sociopatico ma di come a volte ci si lascia condizionare da strade che altri tracciano per noi. Cosa sarebbe accaduto se Dexter non fosse stato adottato da? E se questo non l’avesse convinto a? Le sliding doors della vita.
Ogni stagione è dedicata a un tema portante dell’essere umano: l’amore, la famiglia, l’amicizia, la fede … In ogni stagione il personaggio si evolve. Il tutto nel contesto caldo e spensierato delle spiagge di Miami, con personaggi secondari memorabili come Debra e Angel.
Non mancano i colpi di scena, a volte forse anche un po’ rocamboleschi. È pur sempre fiction. Un’ultima osservazione pro Dexter: la sigla. Adoro le sigle e i titoli dì testa dei film. Sono già una carta di presentazione. La sigla iniziale di Dexter è studiata nei dettagli visivi in modo super calzante.
Buona visione!